Ogni viaggio all’interno della Bahia poteva diventare un’avventura, per lo stato delle strade e dei mezzi di trasporto. Il ritorno da Livramento de Nossa Senhora fu qualcosa di più del solito, per alcune circostanze che si aggiunsero.
Secondo il programma, terminate le celebrazioni per l’ordinazione di Ildalino, siamo stati accompagnati a Brumado, dove avevamo i posti riservati in un pullman di linea, che doveva portarci fino a Salvador. Arrivati con un prudente anticipo, abbiamo avuto la sorpresa di sapere che la corriera era già partita, senza che ci fosse data nessuna spiegazione. Le nostre proteste furono violente ma inutili. Dopo vari tentativi, ci fu dato di approfittare, a pagamento, di un camioncino che doveva andare a Vitoria da Conquista e trasportava un vecchio motore di camion. Eravamo in sette: sei salirono nello spazio aperto dietro alla cabina e uno, P. Francisco, sedette con l’autista.
L’inizio fu in pieno buon umore: c’era il sole e faceva caldo. Scherzavamo e ridevamo, cercando di mantenerci ancorati alle sponde del mezzo, per resistere alle scosse per le buche nella strada e alle curve ardite dell’autista. Dopo un’ora, questi fece una sosta a un bar a fianco della strada per rinfrescarsi con un po’ di birra. Dopo di che, la sua guida divenne ancora più allegra. A rendere la situazione preoccupante, arrivò l’avviso che avremmo dovuto metterci da una parte sola, per controbilanciare il peso del motore, altrimenti il camioncino poteva ribaltarsi. La seconda sosta fu ancora dedicata alla birra e la guida fu ormai tale da mettere paura. Inoltre il sole era tramontato ed era freddo. Nessuno aveva più voglia di scherzare o di cantare.
Arrivati a Vitoria da Conquista dopo tre ore di viaggio, eravamo coperti di polvere. Cercammo subito la stazione dei pullman, per verificare se ci fosse un passaggio per Salvador. La risposta fu negativa: niente di assicurato, ma solo la possibilità che nel mezzo che doveva arrivare ci fosse qualche posto libero. Mentre gli altri insistevano con i due responsabili dell’agenzia – un ragazzo e una ragazza giovanissimi – io partii con una scena teatrale, e, assumendo il tono più importante che potevo, viste le circostanze, dissi: “A me non piace andare in giro a spiegare chi sono. Ma se le cose non si sistemano, domani qualcuno lo saprà e ci sarà chi pagherà le conseguenze”. E mi misi a passeggiare lì attorno con molto sussiego. Paolo prese la palla al balzo e intervenne: “Ma sapete chi è quello lì? È l’ambasciatore di Londra. Domani deve vedere il Governatore a Salvador. Se non arriva in tempo saranno guai per tutti”.
La sceneggiata fece effetto. Al momento giusto i posti ci furono e potemmo salire a bordo, ormai sicuri che saremmo tornati a Salvador. I due ragazzi vennero a presentare le loro scuse: “Abbiamo fatto il meglio che potevamo”. E io: “State tranquilli: chi di dovere saprà della vostra buona volontà”.
Un dettaglio ulteriore di interesse, durante il viaggio, è stato fornito da Francisco, il giovane sacerdote che aveva viaggiato dentro la cabina. Dopo averci fatto notare che anche lui aveva preso un po’ di polvere, si mise a declamare, a mio vantaggio, il “discorso della luna” che Papa Giovanni pronunciò la sera dell’apertura del Concilio. Ogni tanto mi veniva vicino e cominciava, in italiano: “Cari figlioli, sento le vostre voci …” Credo che avesse l’intenzione di impressionarmi. E di fatto lo fece, ma non nella direzione che sperava lui.